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Abolire o contenere la contenzione? – Firenze, 14 febbraio 2020

Dove va la psichiatria (Giuseppe Ortano)

31 dicembre 1974, Antonia Bernardini, Manicomio Criminale di Pozzuoli;

4 agosto 2009, Francesco Mastrogiovanni, SPDC di Vallo della Lucania;

13 agosto 2019, Elena Casetto, SPDC Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Sembra che il tempo sia trascorso invano. Ancora si muore legati al letto in luoghi che dovrebbero costituire un importante tassello nel percorso di cura di persone con problematiche di salute mentale, anche perché spesso ci si trova di fronte agli esordi di una psicosi.
Da 40 anni ci siamo lasciati alle nostre spalle i manicomi e fortunatamente con la l. 81/2014 abbiamo chiuso anche gli OPG e stiamo provando ad affrontare nei Servizi Territoriali le contraddizioni custodia/cura.
Ma è un dato di fatto incontrovertibile che stia prevalendo apertamente il ritorno ad una Psichiatria asilare che privilegia il controllo alla cura.
Oggi con crescente naturalezza negli SPDC si ricorre sempre più alla contenzione!
E’ una pratica che resiste in almeno 80 % degli SPDC.
Significativo è il dato che anche nelle REMS, sebbene in pochissimi casi, si ricorre alla contenzione.
Sicuramente il clima sociale è cambiato caratterizzato da intolleranza, razzismo ed egoismo e sicuramente il contesto politico non è estraneo.
Ma c’è che la Psichiatria è ormai solo una questione di neuro trasmettitori e di farmaci costosi. Mentre si assiste ad una desertificazione dei servizi territoriali e sempre minori sono le risorse a disposizione dei DSM. Ma tutto ciò non esclude le nostre responsabilità di psichiatri. In un recente comunicato di Psichiatria Democratica abbiamo ribadito che proprio la drammatica vicenda di Bergamo ripropone la responsabilità di impedire la pratica violenta della contenzione fisica. Questo modo di semplificare la risposta nell’affrontamento della crisi si risolve nella reificazione e nell’annullamento delle persone sofferenti.
LA CONTENZIONE NON E’ UN ATTO MEDICO E NON HA VALENZE TERAPEUTICHE !
( Corte di Cassazione, Sent. n. sez. 1866/2018 )

 

(Giuseppe OrtanoResponsabile Nazionale Carceri e Superamento OPG di Psichiatria Democratica)

Torna il silenzio degli innocenti (Centro Basaglia di Arezzo)

Il drammatico episodio accaduto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Bergamo, in cui ha perso la vita una ragazza di soli 20 anni, ci obbliga ad uscire da quello strano torpore che sta avvolgendo le nostre menti in una sorta di oblio collettivo.
Nell’aria si respira una crescente tendenza a rifiutare chi è diverso o semplicemente non rientra nei canoni ipocriti di chi pretende di definire la normalità. Quindi si cacciano i disperati che fuggono dalle miserie del mondo e dalle sue violenze terribili oppure si picchia chi manifesta orientamenti sessuali diversi. ciò che non ci piace o ci fa paura va eliminato o nascosto alla nostra vista. È facile leggere una continuità logica di pensiero con chi sempre più spesso parla della sofferenza psichica e delle persone che ne soffrono in termini di malati da rinchiudere o almeno nascondere, dimenticandosi – come affermava Basaglia – che spesso dietro il disagio e la sofferenza vi è una storia di ordinaria e privata infelicità.
Le persone così ritornano ad essere malati da relegare in strutture anche più belle dei vecchi manicomi ma dove l’idea di fondo è la stessa. I continui tagli alla salute mentale in sanità hanno contribuito ad accelerare questa regressione politica e culturale nei servizi dove oramai le prestazioni sono sempre di più oli ambulatoriali cancellando lentamente l’esperienza nata con Basaglia di salute mentale di comunità e di riabilitazione territoriale dimenticandosi che il bisogno si affronta a partire dai luoghi di vita delle persone, la dove il disagio si manifesta e va affrontato nella sua complessità.
Oggi la buona politica, le istituzioni recettive e consapevoli, le buone pratiche dei servizi e la partecipazione democratica che accompagnarono quella fase di superamento delle strutture segreganti dando dignità e diritti ai “senza voce e senza storia”, vivono una fase di profonda involuzione.
Le persone fragili e le loro famiglie sono così spesso lasciate sole e le associazioni di volontariato, voce indispensabile a cui attingere per la rappresentanza dei bisogni, non vengono prese nella dovuta considerazione. Oggi con crescente naturalezza nei reparti psichiatrici ospedalieri si fa sempre più ricorso a tecniche di contenzione che sembravano cancellate dalla rivoluzione , purtroppo incompiuta, sancita dalla legge 180. Non sappiamo se l’episodio terribile di Bergamo sia il frutto di questi cambiamenti ma il contesto in cui gli operatori della salute mentale sono chiamati ad agire è questo. Anche nella nostra civile Toscana si sta strutturando questo tremendo approccio e forse è arrivato il momento che le comunità , la società civile, così come 50 fa, si mobilitino a tutela dei diritti non dei suoi malati ma dei suoi cittadini con la consapevolezza che vale per tutti, senza lasciare indietro nessuno perché non vi sono figli di un dio minore, la prospettiva di una vita degna di essere vissuta e non stroncata perché “contenuta” in un letto di ospedale.
17 agosto 2019

 

 

La contenzione non è un atto terapeutico (Salvatore Di Fede)

Per Psichiatria Democratica la contenzione non è un atto terapeutico e non può più essere consentita.
La drammatica morte di una giovane donna a Bergamo ripropone a noi tutti, operatori della Salute Mentale, la responsabilità di impedire la pratica violenta della contenzione fisica nell’affrontamento della crisi… Si ripetono da tempo gli episodi di maltrattamenti e di eventi tragici nel corso di TSO come di decessi nel corso di contenzioni fisiche: gli uni e gli altri non sono rubricabili come effetti collaterali o fenomeni avversi di protocolli di cura. Sono, bensì, l’esito di modalità di affrontamento della crisi psicotica che rinunciano all’incontro con l’altro che tutti potremmo essere, con l’altro che non riconosciamo più come umano, e dunque nostro, e che abbiamo ripreso  a sentire come diverso, estraneo e quindi pericoloso (e la volontà e responsabilità politica di questa attualissima regressione culturale e sociale non sono certamente  estranee a questi accadimenti).
La deriva manicomiale di queste pratiche coercitive nell’ambito della sanità pubblica non può essere oltremodo sopportata, subita o consentita: Psichiatria Democratica continuerà a lottare perché gli operatori della Salute mentale abbiano le risorse per riaffermare che un altro modo di affrontare la crisi sia sempre possibile e che vengano rispettati i diritti delle persone sottoposte a ricoveri in regime ospedaliero. Il nostro impegno è per impedire che le pratiche di salute mentale che ci hanno liberato dal manicomio siano sostituite da una psichiatria estranea all’umano.
Salvatore Di Fede, Segretario Nazionale di Psichiatria Democratica