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I suicidi nelle carceri, le proposte di Psichiatria Democratica

Grande dolore, angoscia e forti preoccupazioni, è quanto ha registrato Psichiatria Democratica nel Paese a seguito delle tragiche morti avvenute nelle carceri italiane in questi ultimi giorni. Tre vite spezzate richiamano Governo e Parlamento a passare dai rituali e generici annunci di interventi ad atti concreti capaci di affrontare – in maniera organica – tutte le problematiche relative alla detenzione. Non dimentichiamo che si tratta di persone affidate allo Stato che ne doveva garantire dignità, salute e incolumità fisica e che l’articolo 27 della nostra Costituzione richiama esplicitamente l’umanità della pena e la sua finalità di rieducazione del condannato.
Sempre più oggi le carceri, invece, sono ridotte a discariche sociali, dove vengono rinchiusi i soggetti considerati “difficili” che sono esclusi dal welfare. Senza veri ed efficaci percorsi di recupero.
Per questo, secondo Psichiatria Democratica, va denunciata e contrastata la ritualità che ad ogni tragedia vede indicare come soluzione al sovraffollamento la costruzione di nuove carceri o l’utilizzo di nuove strutture detentive come le caserme dismesse. Invece, chi vi opera sa bene che lo si contrasta efficacemente con congrui stanziamenti sociali e con il ricorso alle pene alternative. Per le persone ristrette che non abbiano commesso reati gravi e/o con pene da scontare inferiori ai quattro anni Psichiatria Democratica ritiene indispensabile definire autentici percorsi di inclusione sociale che preveda l’istituzione di corsi di formazione interni e il rilancio dell’occupazione esterna presso gli Enti Locali e/o nella Cooperazione.
Parallelamente alle pene alternative, dovranno essere stanziati congrui fondi per migliorare ambienti e strutture carcerarie la cui carenza (acqua, docce, servizi igienici, aree verdi, attività di formazione e lavoro, ecc.) finisce, nei fatti, per aggravare la pena. In alcuni istituti penitenziari vi è, infatti, una vera assenza di civiltà da affrontare e risolvere.
Scelta prioritaria deve comunque essere quella di adeguare gli organici non solo del personale di custodia, ma anche di tutte quelle figure – medici, psichiatri, psicologi, infermieri, educatori professionali, assistenti sociali, ecc. – senza le quali i progetti auspicati rimarrebbero impraticabili. Per Psichiatria Democratica, infine, è necessaria una approfondita riflessione sulla realtà e sul funzionamento delle sezioni carcerarie psichiatriche per valutare la loro adeguatezza a rispondere ai bisogni di salute dei detenuti ivi ristretti.
Psichiatria Democratica fa suo l’ammonimento, contenuto nella Relazione al Parlamento, del Garante Nazionale dei Diritti detenuti, dott. Mauro Palma : “il primo diritto che l’umanità deve garantire è l’appartenenza ad essa”.

Il lutto per la psichiatra Barbara Capovani ( di Antonello D’Elia)

Un uomo incappucciato aggredisce all’uscita dal suo posto di lavoro una dottoressa. Barbara Capovani viene colpita con ferocia al capo con una pesante sbarra e cade tramortita. Soccorsa, le sue condizioni sono disperanti. Poche ore dopo si darà avvio alle procedure per dichiararne la morte cerebrale e per consentire, secondo i desideri della donna, all’espianto degli organi che trasformerà un corpo giovane e vitale in un serbatoio di organi da donare a potenziali beneficiari. Una storia orribile che vede una psichiatra vittima della mente ossessionata e contorta di un uomo che ha deciso e messo in atto una misteriosa quanto letale vendetta. Questo è quanto raccontano le cronache. Un delitto inquietante, un assassinio premeditato e spietato che colpisce un medico per il solo fatto di essere entrato nel corso del suo lavoro quotidiano nella testa di un uomo che ne ha deciso la sorte pianificando un’aggressione di inaudita violenza, fredda e micidiale. Non possiamo che rabbrividire immaginando l’orrore della scena e compiangere una collega la cui unica colpa è di aver incrociato la vita di un essere esibizionista e disturbato, immerso in una bolla onnipotente e grandiosa che lo ha portato ad attribuirsi doti sciamaniche. Gianluca Paul Seung sarà giudicato per quel che ha fatto e ne sconterà, ci auguriamo, la pena adeguata a una combinazione micidiale di perversione e violenza: a prescindere dalla sua condizione psichica e dal suo passato. Che cosa fa di una persona così complessa un paziente psichiatrico? Il solo fatto di essere stato ricoverato in passato in un reparto psichiatrico dove ha avuto la ventura di incrociare la dottoressa Capovani e di averle attribuito, come viene da supporre, una responsabilità nell’essere
considerato un malato e non un essere superiore? Basta questo per farlo diventare oggetto di un monitoraggio stretto da parte di un servizio psichiatrico? O per additare o lamentarne l’assenza? Cosa fa della psichiatria e dei suoi operatori gli agenti di provvedimenti di controllo o almeno di contenimento di tortuosi itinerari psichici capaci di trasformare una persona, come la collega Capovani, in una cosa, in un agente inumano di una persecuzione su cui rivalersi per compensare l’offesa ricevuta? È presto dirlo, non sappiamo abbastanza e, seppure sapessimo, non potremmo che sospendere i nostri pensieri di fronte alla morte ingiusta di un medico che ha avuto l’inconsapevole sventura di diventare un fantasma nella mente di qualcuno che ha conosciuto nel corso del suo lavoro e che le ha attribuito colpe tali da doverle lavare col sangue, da meritare il suo annientamento. Ci saranno psichiatri che saranno chiamati a pronunciarsi sui tortuosi percorsi mentali del Seung, e questo è giusto. Quello che non ci sembra giusto è trasformare il corpo ancora caldo della dottoressa Capovani nel testimonial di tesi ideologiche, di richieste di aumento di posti letto, magari in REMS, per evitare che fatti come quello avvenuto a Pisa si ripetano. Chiariamoci: la psichiatria istituzionale ha un improcrastinabile bisogno di risorse umane in assenza della quali scompare come disciplina e, non dimentichiamolo, non vi è specializzazione medica che condivide questa sorte. La psichiatria o è dotata di personale qualificato o si trasforma in burocratica gestione di terapie farmacologiche e di posti letto. Ben venga la solidarietà e la proposta di rispettoso silenzio luttoso per la collega da parte di tutti coloro che, ogni giorno, in prima linea si confrontano con la sofferenza umana, consapevoli che non tutto quel male è noto, che non tutto è comprensibile, che non tutto è trattabile e che sofferenza e violenza non sono una combinazione ineluttabile nella mente umana. E che, inoltre, non basta aver ricoverato o visitato qualcuno qualche volta per diventarne il custode psichico e fisico, responsabile per quel che fa e che farà. Per ora, in attesa di conoscere di più, rimaniamo sobri, stringiamoci alla famiglia di Barbara Capovani e rispettiamone il dolore. La morte di un essere umano lo richiede e l’etica lo impone.

Roma, 23 aprile 2023

Antonello D’Elia, Presidente di Psichiatria Democratica