Wilali e la nostalgia
di Rocco Canosa
(Psichiatra, Centro Medico “Stenone” Caritas Firenze)
Nel momento in cui il senso di casa viene minato e perduto nel migrante,
si crea una sensazione di vuoto inspiegabile e tuttavia estremamente profondo
di mancanza di qualcosa di cui la persona non era nemmeno
consapevole di possederla
(Dellavalle Chiara)
Quando parlo con i migranti, non sono colpito solo dalle loro storie di violenza e di miseria, ma anche dal loro sentimento di nostalgia.
Oggi Wilali, tunisino, è venuto a parlare con noi. “L’operatore della casa di accoglienza in cui sto vivendo, mi ha inviato da voi, dicendo che sono depresso e devo curarmi per questo “– mi dice.
“Io non ho bisogno dello psichiatra, perché ciò che vivo non è una malattia. E’ la lontananza. Un dolore profondo, un misto di nostalgia e di tristezza”.
Non fa in tempo a terminare la frase che scoppia in un pianto dirotto. “Ho lasciato la mia famiglia a Tunisi –continua- per venire in Italia per guadagnare un po’ di soldi, cercando di dare loro una vita decente. Mi trovo qui da 11 anni. Ho lavorato come facchino, spezzandomi la schiena. Poi ho perso il lavoro perché l’azienda ha chiuso. Così, per sopravvivere ho cominciato a spacciare droga e dopo, come spesso accade, a farne uso anch’io. Continuo a drogarmi pure adesso, anche se molto meno di prima: un tiro di cocaina mi tranquillizzo. A causa dello spaccio sono stato più volte in carcere. Ora sono davvero triste. La farei finita con la vita (quante volte ci ho pensato!), ma Allah me lo proibisce. Non riesco a chiudere occhio la notte, preoccupato come sono della mia famiglia. Ma non mi sento malato.
Già, la nostalgia: per le passeggiate in riva al mare a Tunisi, per l’odore di zenzero e curcuma della minestra di casa, per la fragranza del pane appena sfornato e comperato alle sei del mattino nel forno di mio zio, per le scorribande di noi ragazzi nei vicoli della città vecchia, per gli occhi di mia madre. No, dottore, non sono malato e non sto neanche tanto male a causa dei pochi soldi che ho in tasca. Sto male perché soffro della mancanza. E’ qualcosa che parte dallo stomaco, arriva alla gola, invade gli occhi fino a farli piangere.
Non mi dia medicine, dottore, la prego. Non servirebbero a nulla. Da molto tempo non parlo con nessuno. Il senso di solitudine ha conquistato il mio cuore. La solitudine l’ho scelta io, perché in questa condizione il mio pensiero si concentra meglio sulle cose e sulle persone che ho amato e continuo ad amare. Tutto il mondo intorno, con il suo chiasso, mi distrarrebbe. E’ come se il pensiero dolce –amaro della mia casa, della terra lontana colmasse un vuoto prima inspiegabile, di cui solo ra mi rendo conto. Per me la solitudine è come una piantina che va coltivata con attenzione e delicatezza, protetta da rumori e da scossoni. Allo stesso modo la mia anima vuole restare in pace, protetta e difesa da consigli, diagnosi e terapie. Lasciatemi vivere questo sentimento. Mi tiene in vita”.
E così facciamo, dando la disponibilità solo ad ascoltare Wilali, qualora abbia voglia di parlare con noi.