Principessa va al mare

di Emilio Lupo

dal volume Il mare bagna ancora Napoli

scrittori che amano la città

Prefazione di Donatella Trotta

Ed.  SELF

(a cura di Salvatore Testa)

 

Sembrava una Principessa. L’avevamo chiamata così dopo il primo incontro, quando, nell’aprile di quell’anno, venne accolta nella casa-famiglia, perché “rapita” dal nostro gruppo di operatori della Salute Mentale, a seguito di un blitz presso un Servizio di Diagnosi e Cura, dove era stata condotta, molti mesi addietro, e lì abbandonata come in un deposito bagagli. Scoprimmo in seguito che aveva frequentato le scuole di Stato per un periodo assai breve e già all’inizio degli anni ’60 aveva cominciato (dopo il matrimonio e le gravidanze) ad essere ospitata, più volte,  in manicomio e lì sottoposta a cicli di ipnoterapia ed elettroshock, che in seguito ritornavano insieme ad incubi e paure. Viveva in completo abbandono fino a quando il Dipartimento di Salute Mentale, dopo numerose visite domiciliari, ne aveva assunto la tutela. Giunta in casa famiglia era  dapprima diffidente e molto trascurata, ma con il passare dei giorni instaura un bel rapporto con l’infermiera Gemma che l’aiuta a recuperare la femminilità che le dure condizioni di vita le avevano sottratto. Dopo poco tempo, infatti, percepisce una quota per le sigarette e gli acquisti degli effetti  personali… spesso in ghingheri…. si reca dal parrucchiere… nonostante continui a ripeterci che questa testa non è la sua.  La ritrovata serenità o meglio questo sentirsi dentro un gruppo-famiglia, che rispetta i suoi tempi e i suoi spazi, favoriscono, in maniera lenta ma progressiva, le relazioni con la gente del quartiere. Pizzerie (ama particolarmente il ripieno fritto), ma anche mercerie e venditori ambulanti sono le mete preferite delle sue quotidiane passeggiate mattutine, perché di pomeriggio preferisce rimanere a casa.

Tutti al mare. Si chiamava così il progetto che avevamo realizzato come attività di integrazione ma anche perché più di un ospite ne aveva  dimenticato l’esistenza per i lunghissimi anni trascorsi in manicomio. In tutti al mare, il gruppo degli operatori aveva potuto esprimere il meglio di sè  per garantire – stante le scarsissime risorse dei singoli e quelli della giovanissima usl – un adeguato equipaggiamento ai bagnanti! Iniziarono così le prove costume (niente a che vedere con quelle cui siamo abituati oggi, per il peso forma da esibire in spiaggia) indumento recuperato nelle nostre case (nuovo, quasi nuovo e da passare in lavatrice) o presso negozianti amici, insieme alla ricerca spasmodica di colorati teli da spiaggia o di protezione solare, questi ultimi gentilmente donati da una parente farmacista, entusiasta dell’iniziativa e, probabilmente travolta piacevolmente dal furore organizzativo del variegato gruppo. Sì, le prove costume, avevano il loro fascino e provocavano proteste e ilarità (è troppo stretto, sembro una befana, non mi piace, mi invecchia oppure, bello questo colore, mi piace: staje troppo bella, pare n’attrice americana!) durante la vestizione. Ma anche quello fece gruppo. Dicevo delle scarse risorse che ci impedivano una regolarità nell’accesso al mare (nonostante qualche piccolo sconto che i nostri operatori più diplomatici, riuscivano ad ottenere dai proprietari dei lidi per ridurre il salasso alle nostre povere casse) cosa che non piaceva affatto alla nostra Principessa che reclamava una continuità dell’iniziativa: “me piace e piglià ‘o bagno quand’è ‘a stagione, no ogni morte e Papa. E accussì quando m’abbronzo? quando me faccio nera?”.

Una calda mattina di luglio. Il solleone invitava tutti a lasciare le quotidiane fatiche per cercare refrigerio altrove, la nostra Principessa, informò gli operatori di turno, tenendo sempre ben stretta tra le mani la borsa che l’accompagnava da sempre, che si sarebbe fatta il suo solito giretto nel quartiere rincasando alla solita ora. Dopo aver ricevuto le raccomandazioni di rito: “mi raccomando, Principè, mangiati una sola pizza, che oggi abbiamo preparato linguine alla puttanesca e pesce”,  guadagnò l’uscita. In casa, intanto, si organizzava la giornata, tra la barba che Franco si doveva accorciare con l’aiuto dell’operatore Marzio, Giovanna che doveva andare dal medico per una visita di controllo per il diabete, e Teresa che reclamava una mano per il bucato da stendere mentre Nicola, con l’aiuto di Gianni l’infermiere e dell’operatore Germano, doveva finire di sistemare l’aiuola nello spazio retrostante la casa. E infine Gemma che nella sua tipica posizione, mani nei fianchi e naso arricciato, si era insediata in cucina dando un occhio alla salsa ed uno alla lavatrice. E la nostra Principessa? Lei con incedere spedito, invece di imboccare la strada della friggitoria imboccò – dopo una breve sosta – la porta del pullman che l’avrebbe condotta, in compagnia della sua borsa, a …

Nella casa-famiglia la giornata filava liscia. Il quadro si presentava così: l’assaggio della salsa, la biancheria stesa ad asciugare al sole di luglio e i fiori sistemati dal trio di giardinieri, tra un bicchiere di limonata ed un caffè, tanto per recuperare energia in una giornata che faceva dire a Giovanna, in attesa di incontrare il diabetologo in compagnia dell’infermiera Mena…: “forse era meglio se andavamo al mare… oggi fa troppo caldo, nennè, così chiamava, vezzosamente, la sua infermiera preferita”. Embè è sott’mezzjuorne e a Principessa nun se vede, borbottava Gemma…: “chi sa che se sta mangiando, e po’ cca’ nun tene appettito!” E sì che la nostra più che mangiare pizze quella mattina – con sotto il vestito il suo bel costume che la faceva apparire “n’attrice americana” – si godeva il sole e l’acqua di Mappatella beach, meta che aveva raggiunto prima in pullman e poi in tram, percorso questo che non aveva dimenticato nonostante le deprivazioni, il manicomio e l’elettroshock. Con la tavola apparecchiata da Antonietta e  “comme ‘e muonaci” diceva Gemma sempre più stizzita dal ritardo di Principessa, uno alla volta, comparivano in cucina di ritorno dai loro impegni mattutini gli abitanti la casa, qualcuno tentava di inzuppare il pane nella salsa, a mò di aperitivo, contrastato in maniera decisa dalla attenta cuoca. Nel frattempo, Principessa aveva rispettato alla lettera la sua tabella di marcia: panino (rosetta, per la precisione) con fiordilatte di Agerola e prosciutto crudo acquistato dal salumiere di fiducia prima di salire nel pullman, caffè sorbito appena giunto sulla Caracciolo da un abusivo (e subito seguito da una doppietta di sigarette, americane ovviamente) e, quindi, bibita comperata (sempre dall’abusivo) soltanto intorno alle 12,00 poco prima di addentare il gustoso panino con fiordilatte e prosciutto crudo. Beninteso dopo un bagno ristoratore e un poco di sole (che fa bene alle ossa, d’inverno) insieme a due chiacchiere e un’altra sigaretta che le era stata offerta da una signora bionda che si prendeva il bagno con il marito e i due figli piccoli, sistemata a fianco della Principessa, su di una sedia a sdraio di legno, con tanto di occhiali da sole, foulard e doposole.

Venivano da Ponticelli. Così aveva detto a Principessa. Era bidella in una scuola elementare e i bambini erano terribili. La  bionda bidella, cordiale e con un sorriso stampato sul volto, le aveva fatto i complimenti, sia per i suoi begli occhioni neri, i capelli corvini e la pelle del viso liscia come una pupata ( motivo di scherzosa invidia anche di alcune infermiere) sia per il bel costume che Principessa indossava e per gli orecchini che erano intonati, disse, con una certa enfasi, a quanto indossava. La nostra si intrattiene a parlare della calura e di come era limpida l’acqua quella mattina, congedandosi poco dopo perché voleva fumare una sigaretta e non voleva farlo vicino e creature. E fu lì e in quella posizione, che il nostro infermiere Peppino, che era smontato dalla notte e che era lì con moglie, figlia e genero, la riconobbe. Disse poi che l’avrebbe riconosciuta tra mille, da come teneva la sigaretta tra le labbra. La chiamò ma Principessa non rispose: non aveva sentito per il vociare intenso che c’era sul lido mappatella oppure aveva finto di non sentire? Questo non lo sapremo mai. Sta di fatto che la raggiunse chiedendole con chi stava e dove fossero  gli operatori e come mai erano andati lì, quella mattina e non al lido dove si recavano solitamente. Principessa non rispose continuando a fumare ed a scrutare l’orizzonte.

La libertà è sempre terapeutica. Intanto nella casa-famiglia cresceva la disputa tra coloro che si lamentavano della troppa libertà che veniva concessa agli ospiti e quelli che quella libertà ritenevano fosse l’obiettivo da perseguire, sempre. Chi sosteneva che Principessa non era in grado di orientarsi e chi, di contro, era fortemente convinto che era tutt’altro che una sprovveduta, essendo sopravvissuta al manicomio. E, nel cuore della discussione, Marzio aggiunse:  Principessa conosce bene la città, tant’è che durante una uscita (così chiamavamo le escursioni o le passeggiate) era stata proprio lei a indicare la strada più breve agli operatori, per fare ritorno al pullmino che li avrebbe riportati in casa-famiglia. I favorevoli alla sortita confermarono, con ampi gesti del capo o riferendo alcuni dettagli dell’uscita, quanto aveva detto Marzio, i contrari tacevano.

In riva al mare. Dall’altra parte della città, Principessa si intratteneva con la moglie e la figlia dell’infermiere Peppino, ribadendo la purezza dell’acqua, il caldo opprimente e ricevendo, ancora una volta i complimenti per la mise. Nel frattempo Peppino aveva attraversato la strada e raggiunta la cabina telefonica aveva chiamato in casa-famiglia: state tranquilli, Principessa è qui, al mare, alla Caracciolo ed ora sta parlando con mia moglie e mia figlia. L’accompagno io a casa, tra un poco. La telefonata che pure aveva riportato serenità nella fazione dei preoccupati non aveva sedato la disputa, nel mentre Gemma che in un primo momento aveva detto:”ben gli sta, mo’ la pasta se la mangia fredda” era ritornata ai fornelli e riempita d’acqua la pentola per la pasta. Aveva messo da parte un po’ di sugo. Non si sa mai, aveva pensato.

Principessa che ormai gestiva le chiacchiere con moglie e figlia di Peppino (il genero si manteneva da parte, erano cose da donne, disse poi) ottenne di prendere un altro caffè che volle dividere con le sue nuove compagne e fumarsi l’ultima sigaretta, in riva al mare, con i piedi nell’acqua, prima di sedersi in macchina, dove in cinque, un po’ stretti, avrebbero fatto ritorno a casa. Dove l’aspettavano e dove Gemma e gli altri le avrebbero chiesto il perché aveva nascosto loro quella gita solitaria. E già rimuginava nella sua mente la risposta: “me piace e piglià ‘o bagno quand’è ‘a stagione, no ogni morte e Papa. E accussì quando m’abbronzo? quando me faccio nera? ”.