Uno sguardo al futuro (Antonello D’Elia)
E se ci fossimo tutti sbagliati? E se ad aggredirci non fosse solo un virus ma i numeri? Si i numeri, quelli che contati, sottratti, moltiplicati hanno un potenziale contaminante straordinario, che si potrebbe rivelare tossico, endemico, ancor più che pandemico? Quanti morti abbiamo oggi? E contagiati, e guariti? Saturi di cifre le interroghiamo come gli aruspici facevano con il volo degli uccelli, poi ci rimane solo lo sgomento, la paura, il sospetto: tossine per i nostri pensieri e le nostre vite. E se ci fossimo trovati pronti, senza saperlo, senza volerlo, a uno scompenso collettivo? Indeboliti dallo smarrimento di esistenze fragili spostate al di fuori di se stesse, private di difese mature, ubriache di cose, oggetti, denaro posseduto o vagheggiato, preda di pulsioni irriflesse, attraversate da pensieri altrove e da altri pensati. Se, ignari, fossimo tutti stati dominati da un’anarchia interiore e solitaria di fronte a una complessità sempre più complicata, una globalità impersonale e immateriale insinuatasi dentro ciascuno, annidatasi come un microorganismo latente che aspettava solo le giuste condizioni ambientali per emergere, per scoppiare, esplodere oltre ogni confine? La pelle psichica è delicata, più ancora di quella che ricopre i nostri corpi.
Viene da pensare all’herpes, responsabile di numerose affezioni, una famiglia, che sotto lo stesso nome, accomuna virus che hanno un unico comportamento: le sue manifestazioni si vedono sulla cute mentre lui si annida lungo le terminazioni nervose e si risveglia quando le difese immunitarie si indeboliscono. Potrebbe essere un buon modello per provare a raccontare il livello di intossicazione generale raggiunto dagli umani, da quella parte di umani che vivono nel mondo più ricco, quello che ha portato ad allontanarsi dalle cose, dalle relazioni, ad astrarre, a dematerializzare tutto, sentimenti e denaro inclusi. E ora cosa faremo? Attendiamo tutti qualcosa sapendo che non sarà come prima ma senza sapere come sarà. Il tempo ha rallentato, gli orologi mentono e ogni minuto che segnano è un inganno. Sapremo rimetterli in moto? Sapremo ricordare o dimenticheremo tutto e in fretta? Forse se prima per qualcuno eravamo antichi, aggrappati a vecchi arnesi come l’umanità, l’ascolto rispettoso degli altri, l’accettazione di diversità mai troppo lontane da noi, la fiducia negli umani tutti, quando questo sonnambulismo forzato svanirà a poco a poco, troveremo altri compagni sulla nostra strada, saremo meno soli. Avremo dimostrato che senza cedere si può ancora cambiare. Che il futuro non è già scritto. “Si può fare”: così ci avevano insegnato a pensare, così sapremo mostrare a chi viene dopo.
Antonello d’Elia- Roma