Salute mentale e Covid 19 – brevi riflessioni (Giuseppe Guido Pullia)
Penso che la pandemia che costringe gli italiani a restare a casa in quarantena ci ponga parecchi interrogativi.
Il nostro sistema sanitario nel suo complesso è in grado di far fronte ad una epidemia? Gli italiani credevano che la regione più ricca, la Lombardia, disponesse del miglior servizio sanitario regionale. Sembrava che la migrazione verso gli ospedali di questa regione di molti italiani residenti in altre località del paese fosse una indiscutibile dimostrazione di tale assunto. Oggi si capisce che un servizio sanitario aziendalizzato come quello che ha stravolto nei fatti gli assunti della riforma sanitaria del 1978 (la 833), in quanto fondato invece che “sui diritti dei cittadini e l’interesse della collettività” sulla vendita di prestazioni, se anche può aver realizzato servizi di eccellenza ha di fatto dimenticato il territorio, e quindi la prevenzione, la partecipazione, l’educazione sanitaria. Questa stessa logica ha fatto inoltre proliferare strutture residenziali per la loro natura non disattente al profitto privato, in cui l’attenzione al guadagno può avere spinto verso un inaccettabile compromesso tra da una parte adeguate misure di sicurezza e igiene ambientale e dall’altra sovraffollamento, promiscuità, ricorso a personale non adeguatamente qualificato. Una logica che non ha nemmeno corrisposto a presunte esigenze di risparmio della spesa pubblica, che si sarebbero prodotte migliorando le condizioni di salute facendo anche ricorso a misure alternative finalizzate a riconoscere le capacità di ciascuno.
Le immagini di morti, sofferenze, solitudini, di troppi anziani e soggetti fragili sono davanti a tutti noi. Quando saremo in grado di offrire un sostegno a chi non ha avuto modo di elaborare un lutto e a chi ha perduto gli ultimi preziosi giorni, settimane, mesi di una vita vicina alla fine?
In una fase come l’attuale particolari difficoltà si sono presentate nei Dipartimenti di Salute Mentale. Gli operatori dei Centri di Salute Mentale hanno dovuto ridurre, talvolta in maniera molto importante, le visite a domicilio e le attività semiresidenziali. Il lavoro psichiatrico in molte parti del paese, in cui purtroppo una visione della propria operatività come esclusivamente clinico/ambulatoriale si era già tendenzialmente imposta, è tornato a proporsi essenzialmente come di attesa del paziente, di intervento pressocchè esclusivo sulla crisi, com’era nei tempi deprecabili del manicomio. E gli ospiti delle strutture residenziali stanno patendo anch’essi, come gli anziani nelle Case di Riposo e nelle RSA, una promiscuità senza sbocchi. I Progetti Terapeutico Riabilitativi Individuali, l’inserimento lavorativo e sociale sono stati compromessi dagli eventi intervenuti con la pandemia.
I pazienti psichiatrici e i loro familiari sono stati costretti a convivere soli con i loro conflitti e le loro difficoltà. Quando finalmente si sarà superata l’attuale contingenza bisognerà davvero chiedere ai servizi sanitari una vera e propria rifondazione dei servizi sul territorio, con un incremento ed una forte integrazione delle risorse umane, materiali e di aggiornamento professionale.
L’impoverimento ulteriore delle fasce deboli della popolazione (quelle che offrono il maggior numero di utenti dei servizi di salute mentale) dovrà trovare in nuove forme di solidarietà e promozione sociale l’alternativa all’internamento o all’abbandono. Si dovranno tornare a mettere al centro degli obiettivi dei comuni e dei dipartimenti di salute mentale pratiche di riconoscimento e restituzione di effettivi diritti di cittadinanza. Perché questo sia possibile servirà una nuova attenzione degli enti locali alla promozione dei propri cittadini (lavoro, abitare, socialità) ; i dipartimenti di salute mentale necessiteranno di un incremento delle risorse; agli operatori dovranno essere offerti un particolare sostegno morale, un aggiornamento ed una formazione professionale non riduzionistica – quindi non esclusivamente sanitaria – all’altezza dei nuovi bisogni degli assistiti. Gli stessi assistiti, spesso provenienti da ceti sociali poveri, raramente hanno potuto o saputo supplire, come altri hanno fatto sia pure in maniera parziale, con strumenti virtuali alla loro prolungata situazione di isolamento, hanno spesso relazioni familiari problematiche, si sono mossi ben poco e chissà come si sono nutriti, come hanno dormito, se hanno assunto le medicine, se hanno potuto effettuare controlli sanitari anche non specialistici.
Sarà dura. Spero che ci si renda conto tutti almeno di alcune cose: che l’essere umano è precario e non può fare della natura soltanto un oggetto di predazione; che il profitto può anche essere compatibile con un’offerta di prestazioni sanitarie, ma se non lo fa – e non può per sua natura farlo – in maniera universalistica queste non producono necessariamente un miglioramento della salute della popolazione, in particolare dei soggetti più deboli; che va assolutamente ripristinata una forte integrazione tra sanità e sociale promuovendo la partecipazione di tutti i cittadini alla promozione ed al miglioramento della propria salute, come recitano i principi istitutivi della 833 .
Giuseppe Guido Pullia – Venezia